testo in catalogo di Robert Pujade
Sulla serie Ade di Cesare Di Liborio
Come esseri viventi, le immagini fotografiche invecchiano e si decompongono fino al completo annullamento di ciò che rappresentavano. Questo fenomeno di alterazione, che avviene naturalmente in un periodo di oltre un secolo per le fotografie argentiche, può essere attivato artificialmente attraverso l’uso di processi chimici in grado di destabilizzare la composizione materiale e grafica delle stampe. Con questo mezzo usato con ammirevole padronanza, Cesare Di Liborio ha intrapreso un lavoro di metamorfosi delle immagini fotografiche in visioni ispirate alla sua cultura e alla sua immaginazione.
La serie Ade nell’insieme emana un’atmosfera apocalittica: sembianze di paesaggi torturati – dove il minerale si mischia con il vegetale – accompagnano scheletri di animali o strani frammenti di statue. Il materiale fotografico è trattato come la pittura, con strati e strisce che ricordano alcuni dei quadri di Max Ernst, mentre gli sfondi si sovrappongono a pannelli, come nelle serigrafie di Robert Rauschenberg. Cesare Di Liborio interviene direttamente sullo strato d’argento delle fotografie per generare una visibilità cancellata o sovraccaricata e tinte sbiadite o caratterizzate da un’oscurità accentuata. Il suo lavoro di fotografo si concentra, qui, principalmente sulla materia significante dell’immagine con uno scopo preciso: mostrare in che modo il significante fotografico possa significarsi lui stesso come potenza allucinogena.
Anche se in questa serie riconosciamo occasionalmente soggetti ricorrenti nell’opera del fotografo – ritratti, musei d’arte antica, museo di storia naturale – non ritroviamo però il suo esercizio dell’immagine eseguito con estremo rigore per la gamma dei grigi e la nitidezza delle vedute. Questo cambiamento di atteggiamento e di stile è riconducibile a due importanti motivi, ognuno dei quali è ricompreso nel titolo Ade (gli Inferi, in italiano).
Innanzitutto ci possiamo rendere conto che ogni immagine è la fotografia di una fotografia rielaborata, quindi una riflessione dell’autore sul medium a cui ha dedicato gran parte della sua vita. Riflessione che riguarda il divenire di queste stampe portatrici di bellezza, di senso e sensibilità che rappresentano la sua creazione. Possiamo così leggere, in questa serie Ade, le progressive degradazioni che il tempo infliggerà alle fotografie fino alla loro completa cancellazione. Ecco perché la gamma dei grigi sbiadisce trasformandosi in tinte giallastre ed ecco come alla nitidezza subentrano sbavature, umidità e macchie. Ade ci racconta la storia dell’agonia delle immagini, la loro lotta contro il tempo che ne esaurisce la forza liberatrice di colori e di luce.
Inoltre, lo spettacolo al quale questa serie ci invita si ricollega alla tradizione dei Libri dei Morti e, in particolare, alle leggende elleniche sul viaggio delle anime verso l’Erebo. La prima fotografia della serie è una riproduzione visiva delle descrizioni delle gole dell’Acheronte, con faglie e crepacci, dove Caronte accompagnava le anime verso lo Stige. Scorgiamo anche nell’acqua un riflesso che prende la forma di una barca. Il caos percettivo delle altre immagini, con la deliquescenza delle figure, l’instabilità delle linee e le zone sbiadite, corrisponde alla progressiva estinzione delle sensazioni che precede la morte. In questo iter funebre, il percorso è costellato di scheletri, e tra questi c’è quello del Pellicano che simboleggia nell’era cristiana la morte e la resurrezione[1]. Nella serie Ade, dà pienamente il senso dell’impresa di Cesare Di Liborio: la morte dei vivi e delle immagini può rinascere nell’immagine.
[1] Dante, La Divina Commedia, canto 25.
Robert PUJADE
Just like living beings, photographs age and decompose until everything they once represented becomes obliterated. This deterioration phenomenon, which occurs naturally on silver print photographs over a period of more than a century, can be created artificially through use of chemical processes able to undermine the stability of the material and graphical composition of the prints. Using this medium with admirable mastery, Cesare Di Liborio enacted a metamorphosis and transformed the photographic images into visions inspired by his culture and imagination.
Considered as a whole, the Ade series exudes an apocalyptic atmosphere: semblances of tortured landscapes, where the mineral and vegetable worlds blend together to form a backdrop for the skeletons of animals or strange fragments of statues. The photographic media is treated like a painting, with layers and streaks that bring certain of the works by Max Ernst to mind, while the backgrounds superimpose panels as in the silkscreen prints of Robert Rauschenberg. Cesare Di Liborio works directly on the silver layer of the photographs to create an erased or deeply emphasized visibility and shades that are either faded or accentuated by their darkness. Here, his work as a photographer chiefly concentrates on the signified matter of the image for a specific purpose: demonstrate how the photographic signifier can itself signify as hallucinogenic power.
Even though subjects that recur in the photographer’s work – portraits, museums of ancient art, the natural history museum – can occasionally be glimpsed in this series, his meticulous care in the use of grayscale tones or image sharpness is not apparent in these photographs. This change in attitude and style can be attributed to two important reasons, each of which is inferred by the title Ade (Hades or the Underworld, in English).
First, one realizes that each image is the photograph of a re-processed photograph, thus a reflection by the author on the medium to which he has dedicated most of his life. A reflection which concerns the change, the process of “becoming” of these prints, bringers of beauty, sense and sensitivity that represent his creation. Thus the Ade series allows us to witness the progressive degradations that time will inflict on photographs until they cease to exist. That is why the grays fade until they turn into yellowish hues and that is why clarity gives way to smudges, dampness and stains. Ade tells of the agony of the images, their struggle against time that depletes the liberating force of color and light.
Moreover, the drama to which this series invites us harks back to the Books of the Dead of ancient tradition and especially to the Greek legends about souls as they travel towards Erebus. The first photograph in the series is a visual reproduction of the descriptions of the Gorge of Acheron, with its faults and crevices, where Charon carried the souls across the Styx. A reflection in the water takes the shape of a boat. The perceptive chaos of the other images, haziness of the figures, wavering lines and bleached areas mark the progressive extinction of all feeling that precedes death. The pathway through this funerary progression is studded with skeletons, including that of the Pelican which, in the Christian era, is symbolic of death and resurrection[2]. In the Ade series, it wholly represents the sense of Cesare Di Liborio’s undertaking: the death of the living and of images can be reborn in the image.
Robert PUJADE
[1] Dante, The Divine Comedy, Canto 25.