testo di Massimo Mussinii
“Via Parma, 14”
Cesare Di Liborio gioca ambiguamente sul valore formale delle singole immagini, acquratamente costruite, per spostarne il valore verso il piano comunicativo, legandone in una sequenza che delinea un preciso racconto. Egli ama raccontare in maniera indiretta – per metafore si potrebbe anche dire – o meglio, utilizzando la figura retorica della sinèddoche, della parte per rappresentare il tutto.
Le immagini ci introducono all’interno della sua abitazione, ma anziché essere impiegate per descrivercene gli aspetti architettonici e i caratteri dell’arredamento, secondo i modelli delle riviste d’architettura, si soffermano su piccole porzioni dell’ambiente, su oggetti d’uso quotidiano, su situazioni banali; insomma su ciò che solitamente di una casa non si mostra agli estranei perché considerato troppo personale.
Ne consegue che la visione dell’oggetto non si esaurisce in se stessa, ma ci costringe mentalmente a pensare a ciò che esso sottintende, a considerare la presenza di un fruitore, a percepire in quelle immagini la presenza di un’atmosfera d’intimità personale.
Per questa ragione le fotografie restano di piccolo formato ed hanno un tono morbido e caldo e mantengono volutamente un tono dimesso. Sapiente è però la scelta delle inquadrature, attenta a creare con pochi particolari un’alternanza fra tempi narrativi sospesi (dunque di durata indeterminata) e situazioni temporali perfettamente riconoscibili (il tempo del risveglio, il momento della colazione).
Ne consegue che questa serie di fotografie non si presenta soltanto come una descrizione, ma si trasforma in racconto, in reportage indiretto, poiché ci consente di leggere in filigrana la cronaca di una giornata qualsiasi dei suoi abitanti, cadenzata da rituali e da azioni ormai abituali, che possiamo facilmente individuare nella scansione stessa delle immagini, in cui la ripetizione di una fotografia che mostra una lampada a muro, segna la suddivisione di tempi, ma anche di spazi diversi.
Massimo Mussini